lunedì 2 aprile 2012

Un Monti di cazzate

E' di pochi giorni fa la notizia che in Italia i dieci individui più ricchi posseggono una quantità di ricchezza grosso modo equivalente ai tre milioni di italiani più poveri.

Oggi invece l'Istat ci dice che il tasso di disoccupazione a febbraio si è attestato al 9,3%, in aumento dello 0,2% rispetto a gennaio e di 1,2% su base annua. Il top dal 1992.

Mentre nel quarto trimestre 2011 il tasso di disoccupazione è stato pari al 9,6%, 0,9% in più rispetto ad un anno prima. Si tratta del tasso più alto dal quarto trimestre del 1999.

Intanto il tasso di disoccupazione nella fascia dei 15-24enni attivi a febbraio sale al 31,9% (+0,9% rispetto a gennaio e +4,1% su base annua), mai così alto dal Gennaio 2004.

Ma Monti dalla Cina rassicura serafico: "La crisi è passata ora possiamo rilassarci”. Beato lui...

Quando finirà il tempo di ascoltare immani cazzate pronunciate prima da pagliacci imbonitori di masse e ora da seriosi baroni universitari?



Monti, Vigni, Viola: esodo è bello
di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 28 Marzo 2012

Notiamo evidenti convergenze tra le strategie recessive del governo Monti e la strategia autolesionistica di certe banche e industrie. I due fenomeni si illuminano a vicenda.

Mentre scrivo, nel Marzo 2012, nel silenzio dei mass media divampa il caso Viola-BPER-MPS. Fabrizio Viola (nella foto) passa da AD di Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) a direttore generale di MPS, proprio mentre si rinegozia il contratto collettivo aziendale di quest’ultimo (31.000 dipendenti). Nel bollettino BPER Futura (Dicembre 2011) dell’omonima associazione di azionisti BPER, si leggono dati molto rilevanti.

Nei 3 anni della direzione Viola, BPER ha perso quasi 2/3 della capitalizzazione, il 40% dell’utile netto, il 300% circa del suo saldo interbancario (andando a – 4,3 miliardi), diversi gradi di rating, e ciononostante gli ha rinnovato l’incarico e pagato compensi per € 5.312.667.

E’ inoltre esposta verso i propri massimi dirigenti per 431.000.000 – cioè questi hanno usato la banca per prestare a se stessi quella somma, in palese conflitto di interessi. Inoltre hanno messo su poltrone della banca loro familiari ed amici.

Viola subentra ad Antonio Vigni nella direzione di MPS, il quale, durante la direzione Vigni, è caduto in gravi difficoltà anche di liquidità, soprattutto perché ha speso 9 miliardi per comperare la Banca Antonveneta che ne valeva 2 (quindi qualcuno ha lucrato 7), perché era piena di sofferenze (6 volte la media di MPS) dovute alla prassi diffusa e accettata di concessioni allegre di crediti a soggetti inidonei, e al quasi assente controllo della qualità del credito. Vigni rimane al MPS come consulente.

Nessuno dei responsabili e dei beneficiari di questi disastri viene chiamato a render conto e a risarcire, anzi vengono rotati tra loro e la carriera continua. Cosa che difficilmente si può spiegare se non rifacendosi a un disegno a livello di poteri sovrastanti, che dà direttive e copertura per questo tipo di gestione.

BPER Futura denuncia quanto sopra e denuncia che “i consigli di amministrazione, un tempo composti da uomini di grande valore che vedevano l’incarico come un servizio a termine, si sono riempiti di Amministratori a vita, che considerano la carica un mestiere”.

Reclama che i dirigenti siano pagati in base al risultato ed entro limiti di decenza, che abbiano incarichi a termine, che non possano usare la banca per dare soldi a se stessi e poltrone ai parenti. Cita il caso dell’amministratore Vittorio Fini, che ha subito due ipoteche giudiziarie di un pool di banche sue creditrici per 68,5 milioni di Euro, e tra queste banche vi è anche quella di cui è amministratore, la BPER!

E per quale motivo, per quale logica o merito imprenditoriale il CDA rinnovava l’incarico a Viola, nonostante i pessimi risultati, e gli ha anzi dato un maggior compenso, in parte determinato a discrezione?

Mi chiedo io: lo ha fatto perché i risultati non interessano, o perché interessa che siano così, perché ha fatto esattamente ciò che gli si richiedeva? E, con questi presupposti, per quali interessi MPS viene affidato a un Viola, per quale logica programmatica?

Anche nella Fiat, massima industria nazionale, si notano decisi tratti di strategia “riduttiva”: Marchionne non la sta rilanciando tecnologicamente e commercialmente, non sta investendo i 20 miliardi promessi per ottenere le firme sindacali al nuovo contratto – sta considerando di chiudere un paio di stabilimenti in Italia.

Vi è chi arguisce un piano per liquidare, mandandole a gambe all’aria, le grandi banche italiane e sostituirle con un sistema bancario, probabilmente, germanico, emanato da BCE e MES. E c’è un’analogia, un parallelismo tra un simile progetto e un progetto di mandare all’aria gli stessi paesi eurodeboli attraverso politiche di risanamento e sviluppo programmaticamente errate e fallimentari, per poi governarli direttamente via MES?

Anche Corrado Passera, prima di esser fatto ministro dello sviluppo, aveva diretto una grande banca, Intesa San Paolo, con risultati non buoni. E così il nuovo presidente di MPS, Alessandro Profumo, indagato per frode fiscale, non è che abbia lasciato Unicredit in condizioni rigogliose. La sua controllata Fineco Leasing ha addirittura qualche pignoramento e sequestro conservativo – vedi Cerved.

E’ un fatto, che l’intero paese, tragicamente privo anche di significativi progetti infrastrutturali, appare in via di svuotamento, di raschiatura del fondo, di gestione terminale, ad esaurimento, non di preservazione e tantomeno di rilancio.

Dove va un paese che offre lavori instabili da 700 Euro al mese, e pensioni da 400, con un pari costo della vita rispetto a paesi dove stipendi e pensioni e servizi sono molto migliori e le tasse inferiori? Che senso ha vivere in esso, per un lavoratore, anziché emigrare?

Credo che il disegno franco-tedesco di cui parla Galloni nel recentissimo saggio Chi ha tradito l’economia italiana? (ama pure in altri scritti) sia di eliminare, attraverso la demolizione del reddito, dell’autonomia nazionale e della capacità manageriale, tutte le strutture socioeconomiche e politiche autoctone, e insieme indurre ad emigrare gli imprenditori più attivi, a chiudere quelli meno forti (soprattutto la sacca di resistenza dura a morire delle piccole e medie imprese del Nord-Est), per poter poi plasmare, su un terreno spianato e sgomberato, incapace di opporsi, un’Italia diversa, a loro convenienza, facendone un bacino di mano d’opera a basso costo, vicino e direttamente controllato, che funga anche da mercato di sfogo per loro produzioni non meglio vendibili.

Questa ipotesi di drastico abbattimento economico spiega le scelte demolitive per l’Italia da parte di Merkel, Monti, Marchionne, Viola, Vigni e altri. Tutto quadra, tutto ha una sua coerenza. Anche l’elevare la pressione fiscale a livelli tali che gli investimenti non possono ripartire.

Anche il porre sui carburanti accise tanto alte, che il conseguente crollo dei consumi determina una calo del gettito di accise sui carburanti, oltre a un generale rincaro dei prezzi e abbassamento della domanda, dovuti ai maggiori costi per trasporto, e che abbatte ulteriormente il gettito fiscale. La leva fiscale è usata per indurre imprese, capitali e cittadini capaci ad emigrare, a lasciar libero il territorio.

Conosco consulenti che fanno proprio questo servizio alle aziende, aiutandole a restare legalmente operative in Italia, ma con sede, redditi e capitali esterizzati. Questo è il Salva-Italia di Monti: un Accoppa-Italia, o una Acchiappa-Italia. Precipitare il paese nella spirale dell’avvitamento fiscale facilità chi ne deve prendere il controllo da fuori.

E la supertassa per le supercars? I rivenditori italiani di Ferrari, Lamborghini e Maserati hanno avuto un crollo delle vendite, mentre i governi tedesco, francese e ungherese hanno introdotto norme che consentono di immatricolare tali automobili nei loro paesi risparmiando il 50% sul bollo e sull’assicurazione. Quindi il ricco italiano va là per comperarsi la supercar, e porta là il soldi del prezzo, del bollo e della polizza.

E i rivenditori italiani si associano a partners stranieri per eludere il superbollo, trasferendo capitali e vetture all’estero. La Lamborghini se l’è già presa la Audi e ora fa concorrenza dura alla Ferrari, mentre la Maserati e la Ducati sono in procinto di essere rilevate da altri tedeschi. Vielen Dank, du lieber Mario! Analoga la storia della supertassa sugli ormeggi dei natanti: i natanti e i loro utenti se ne vanno all’estero e ormeggiano in marine straniere e pagano là, con danno per le marine e il turismo italiano.

Difficile credere che misure così anti-italiane non siano fatte allo scopo di far emigrare chi può emigrare. Adesso stanno sistemando l’industria italiana media e grande, e schiacciando la piccola; poi manderanno in crisi le banche italiane (via EBA e BCE) per metterle sotto controllo di altro capitale straniero.

Però io credo che questo sia un bene (e non sto scherzando, lo farei anch’io!), perché il sistema Italia è tanto guasto e inemendabile, tanto asfittico e distruttivo, che spingere le imprese e le persone capaci e creative a trasferirsi in altri paesi sia veramente il modo migliore di fare il loro interesse. Un atto di amore. Inconfessabile, ma di amore. Esodo è bello

Del resto, quando una società viene messa in forte e aperta interazione con società più grandi, più forti, più avanzate, più efficienti – come succede all’Italia nel contesto dell’Unione Europa – la storia mostra che quella società tende a dissolversi. Così come quando una società debole e “vecchia” viene esposta e compenetrata da popoli molto più prolifici e aggressivi. E anche questo è il caso dell’Italia.

Considerando ciò che Galloni dimostra nel suo ultimo saggio sul tradimento dell’economia italiana anche da parte di falsi alleati, non pochi sospettano che il piano sia appunto mandare all’aria il sistema paese per poi proporsi come salvatori.

Monti sarebbe il commissario ad acta per l’esecuzione finale del piano franco-tedesco di abbattimento dell’economia produttiva italiana, di cui parla Galloni, e al quale le piccole imprese italiane, soprattutto, riescono ancora a opporsi.

Se, nel corso degli anni, a opportuni intervalli, tolgo a una nazione la sua moneta, la sovranità del suo debito pubblico, l’autonomia di bilancio e fisco, la politica economica, le prospettive di lavoro, la possibilità di sviluppo, il diritto di fare una programmazione economica, poi le saboto il sistema creditizio e la precipito in recessione, costringendola a prendere con le tasse la ricchezza dei cittadini e svendere il suoi patrimonio pubblico per pagare gli interessi sul debito, dopo non mi rimane che presentarmi ad essa dietro la maschera “Europa”, con un sacchetto di spiccioli in mano, e dettarle le mia volontà. Sono padrone della piazza. La dittatura moderna è bell’e fatta, nel rispetto della legalità democratica, nonché accettata per bisogno.

Ma ritorniamo ai nostri bancari alle prese con i banchieri. I dipendenti di MPS, dal canto loro, sono allarmati dall’arrivo del Viola, che arriva proprio mentre stanno subendo un radicale peggioramento del loro contratto aziendale, perché la direzione scarica su di loro 66 milioni di danni prodotti da cattiva gestione ai vertici.

Ma i montepaschini hanno reagito con un’inedita dimostrazione di protesta il 16 Marzo in migliaia davanti alla sede di MPS, dove garrivano al vento quasi primaverile striscioni in cui si esprimeva il concetto “Amministratori superpagati, la colpa è vostra, pagate voi, basta sprechi, basta autoregali, non tirate in ballo la crisi, non scaricate su di noi.” Concetto che ritorna nei blog sindacali.

Ma questi dipendenti dovrebbero capire e tener presente che sono alle prese non con scelte scorrette di persone specifiche, bensì con una deriva generale del management verso questo tipo di gestione in quanto questo tipo di gestione è quello che arricchisce più e prima il management in un sistema in cui l’economia è finanziarizzata – come meglio si comprenderà proseguendo nella lettura..

Rispetto al passato, nelle aziende, soprattutto in quelle grandi, e in particolare anche nelle grandi banche, si sta scegliendo di avere un personale low cost, poco istruito e poco formato (per evitare che sia capace di criticare, oltre che per risparmiare su formazione e salari) e sostanzialmente precario (per poterlo ricattare e per potersi liberare di quei dipendenti che non rendono o non rendono più). Sovente i nuovi assunti percepiscono salari intorno ai 700 Euro mensili, e si tende al ribasso.

Tale livello retributivo trova accettazione perché scarseggiano le alternative e perché abbondano i giovani che tanto rimangono in casa coi genitori e si accontentano di una paghetta per i loro divertimenti o vizietti comuni nelle nuove generazioni.

Per gestire questo personale, di bassa capacità, si diffonde l’uso delle procedure standardizzate e rigide (protocolli operativi) e si accentrano i processi decisionali, i controlli, mediante il crescente ricorso a strumenti cibernetici, togliendo autonomia anche ai quadri direttivi. Si tende a omogeneizzare il personale per renderlo più prevedibile, quindi meglio gestibile.

Si introduce nei contratti il principio della fungibilità, ossia che l’azienda possa cambiare e abbassare le mansioni di ciascun dipendente, anche dei quadri direttivi, a sua discrezione – cioè si legittima il demansionamento. Con questo e col nuovo art. 18, il datore di lavoro dispone così di strumenti potentissimi, in grado di costringere il dipendente alla totale supinità.

Nelle grandi aziende che tradizionalmente coltivavano un principio di solidarietà, fiduciarietà e riguardo umano verso i dipendenti, anche per costruire una lealtà, una fidelizzazione del personale, da valorizzare nel tempo, questo principio viene abbandonato in favore di un rapporto strettamente utilitario e di sfruttamento in cicli sempre più brevi.

La resistenza contro la riforma del lavoro del governo Monti è, alla luce di quanto sopra, una battaglia di retroguardia, se non una formalità ipocrita di chi doveva intervenire molto, molto prima. Ora i buoi sono già scappati.

Ma tutto questo “destino” era già interamente racchiuso nella scelta di aprirsi alla concorrenza con paesi dove i lavoratori costano poche decine o centinaia di dollari al mese, non hanno tutele sindacali, previdenziali, igieniche, antiinfortunistiche.

E quella scelta è stata fatta negli anni ‘90 in ambito GATT-WTO con una decisione imposta unilateralmente dalla grande finanza americana e passivamente accettata da parlamenti e governi senza alcun coinvolgimento dei popoli, e senza nemmeno avvisarli che stavano per diventare anch’essi fungibili, cioè intercambiabili nei ruoli, e “licenziabili” – cioè abbandonabili dai capitali prodotti da loro stesso lavoro, perché oramai questi capitali – tutti i capitali – erano divenuti apolidi, footlose. E tutte le persone erano perciostesso divenute mere componenti del processo moltiplicativo di quel capitale.

Proprio perché sin da allora gli attuali sviluppi, con le loro ricadute sui lavoratori e sui cittadini, erano prevedibili, oggi non sono credibili i partiti che si stracciano le vesti per l’articolo 18 e la cassa integrazione e i contratti flessibili, mentre allora stavano zitti zitti per non disturbare il manovratore, quando non elogiavano la sua liberale saggezza globalizzatrice.

Dovevano intervenire allora, mobilitare i lavoratori, combattere affinché ciò non avvenisse, arginare la Cina quando era ancora possibile, e intanto spiegare ai lavoratori e agli imprenditori occidentali che l’unico modo per restare competitivi e mantenere il tenor di vita e i diritti cui si erano abituati, era di impegnarsi anima e corpo nel progredire scientificamente, tecnologicamente e organizzativamente, eliminando ogni forma di parassitismo e di consenso elettorale basato sul parassitismo.


Derivati, Monti dica la verità
di Superbonus - Il Fatto Quotidiano - 24 Marzo 2012

Abbiamo scoperto per caso un contratto con Morgan Stanley che ci è costato 2,5 miliardi di euro. Le risposte del Ministero del Tesoro all’interrogazione parlamentare presentata dall’Idv non bastano. Se è tutto in regola, perché tenere segreti i veri conti?

Lo Stato Italiano ha pagato a Morgan Stanley lo 0,15 per cento del proprio Pil per chiudere un contratto derivato che era stato sottoscritto nel 1994 dal ministero del Tesoro, quando il direttore generale era Mario Draghi.

Di questa esorbitante spesa sappiamo poco o nulla, la risposta del governo all’interrogazione parlamentare presentata dall’Idv chiarisce un po’ il quadro agli addetti ai lavori, ma insinua il ragionevole dubbio che i conti dello Stato siano “corretti” da 160 miliardi di contratti derivati.

La composizione complessiva del portafoglio di derivati della Repubblica italiana è uno dei segreti meglio custoditi della storia d’Italia, nessun governo di nessun colore politico ha negli ultimi venti anni comunicato al Parlamento o anche alla sola Commissione bilancio l’esatta esposizione finanziaria del ministero delle Finanze e le perdite o i guadagni relativi.

L’onerosa chiusura del contratto di swap con Morgan Stanley getta un’ombra sulle stesse dichiarazioni del governo in carica secondo il quale “In merito al valore di mercato del ‘ portafoglio derivati ’ della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti.

Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata”.

La limitata rilevanza per lo Stato sovrano non sarebbe tale se all’interno dei contratti ci fossero clausole che stabiliscono un costo futuro certo che l’Italia si troverà a dover pagare nei prossimi mesi o nei prossimi anni.

Spesso i derivati sono stati usati nella contabilità pubblica per aggirare i vincoli di bilancio europei, la Grecia è stato l’esempio più lampante ma i nostri enti locali non sono stati da meno, attraverso complicati contratti sono in molti ad aver posposto l’onere del debito al futuro liberando così risorse finanziarie da spendere nel presente.

In sostanza gli enti pubblici occultano un prestito che viene loro erogato dalle banche internazionali e che non è contabilizzato come tale, la restituzione del prestito è scaglionata in un tempo lontano quando il derivato inizia a produrre i suoi effetti e il flusso di cassa relativo non può essere più occultato.

Dati i numerosi casi di questo tipo che coinvolgono Regioni, Province e Comuni italiani è lecito chiedersi se anche la Repubblica Italiana abbia contratto derivati di questo tipo. È inoltre lecito chiedersi se tali derivati non siano stati usati per coprire buchi di bilancio e far quadrare i conti rispetto alle regole imposte dall’Europa.

Allo stato delle informazioni in possesso del Parlamento, dell’opinione pubblica e di tutti i cittadini italiani non possiamo sapere quali e quanti oneri saremo costretti a pagare, o stiamo già pagando alle banche internazionali per coprire la cattiva gestione del bilancio pubblico dei governi precedenti.

Il governo attuale sta chiamando tutti noi a sostenere grandi sacrifici in nome di un interesse pubblico superiore, ma la sua reticenza sullo svelare la struttura e la composizione del portafoglio di contratti finanziari della Repubblica italiana ci fa sorgere il dubbio che in realtà la maggior parte delle nostre tasse aggiuntive serviranno solo a coprire i buchi del passato che riemergeranno allo scadere delle clausole inserite dalle banche d’affari e sottoscritte dai governi precedenti.

Se già questo non fosse abbastanza grave si aggiunga che il New York Times nel febbraio 2010 ha sostenuto che l’Italia è entrata nell’euro grazie a un massiccio uso di strumenti derivati che le hanno consentito di mascherare il vero deficit che sarebbe stato ben al di sopra di quello stabilito dall’Unione europea.

Il governo Monti dovrebbe sgonfiare sul nascere questa bolla di sospetti, tanto più pericolosa ora che la fiducia è un bene sempre più raro nella finanza internazionale. Se, come sostiene il Tesoro, i derivati sono solo e tutti di “copertura dal rischio di tasso o dal rischio di cambio” non si vede perché l’opinione pubblica non ne debba conoscere la natura e la composizione.

Se di coperture si tratta la speculazione internazionale non potrà beneficiare dell’informazione in quanto, per definizione, a una perdita su da una lato dell’operazione dovrebbe corrispondere un simmetrico guadagno. Se così non fosse sarebbero invece guai seri per il professor Monti. E per tutti i suoi predecessori.


Scandalo derivati: grazie Draghi!
di Marcello Foa - www.ilgiornale.it - 28 Marzo 2012

Questo è un post brevissimo, per unirmi ai pochissimi che chiedono chiarimenti su una delle notizie più importanti delle ultime settimane, ma passata sotto traccia. Ben pochi l’hanno trattata e quasi mai in prima pagina.

Trattasi dei 2,6 miliardi di euro pagati dallo Stato italiano per chiudere una posizione aperta su un derivato.

Un economista del calibro di Alessandro Penati ha sollevato il problema l’altro giorno (leggi qui), ora Il Fatto Quotidiano rivela che quando fu firmato quel contratto, nel 1994, Mario Draghi era direttore generale del Tesoro.

Chi legge Il cuore del mondo non si sorprenderà: è noto che Draghi, oggi rispettatissimo custode della Banca centrale europea, ha saputo stabilire ottime relazioni con certe banche d’affari newyorchesi e non a caso è stato anche vicepresidente di Goldman Sachs.

Scandaloso è che ancora oggi non si sappia a quanto ammonti l’esposizione dell’Italia sul mercato dei derivati.Ma tutto torna: il ruolo di Draghi, di un certo mondo finanziario e, naturalmente, il silenzio di Mario Monti.

Strano governo quello guidato del Professore: implacabile fustigatore del malcostume nazionale, con qualche notevole eccezione, di tanto in tanto appare affetto da improvvisa amnesia…

E qui non si parla di scandali da poche centinaia di migliaia di euro e nemmeno di milioni, non di squallide tangenti, ma di affari da miliardi di euro, forse addirittura 160 miliardi. Dicasi 160.

Abbiamo o no, il diritto di sapere?



L'Italia non è più fattore di crisi
di GZ - www.cobraf.com - 29 Marzo 2012

Abbiamo un mago dell'economia e anche dei mercati. Tre giorni fa, "Tokyo, Monti: ''L'Italia non è più un fattore di crisi''. Subito dopo le banche e la borsa italiana affondano e oggi è la borsa che perde di più, di tutte quelle del mondo!

Monti era a Tokio per cui gli hanno finalmente chiesto di confrontare l'austerità e sacrifici che l'Eurozona impone con quello che fa il Giappone, che come noto da 15 anni ha deficit pubblici enormi, intorno al 180-200% del PIL (l'Italia è invece al 120% del PIL).

Monti imbarazzato (perchè intorno ci sono i giapponesi) nel video balbetta che appunto il Giappone continua con questi deficit enormi... per cui l'Europa è "più disciplinata..." del Giappone ed è meglio.

Dice che è meglio l'Europa perchè fa l'austerità, quando sono due anni che i mercati mondiali ogni tanto vanno a picco a causa di problemi in Irlanda, Spagna, Grecia, Italia, Portogallo... non in Giappone pirla!.

E' in Europa che i rendimenti dei titoli di stato sono esplosi, erano al 8-10% medio solo due mesi fa, la Grecia ha dato default, il Portogallo lo sta per dare, l'Italia paga un 5.5% sul BTP a 10 anni E IL GIAPPONE PAGA UN 1%.

E questo pirla ha la faccia tosta di dire che l'Europa è meglio, è più disciplinata del Giappone che ha deficit pubblici molto superiori all'Italia e paga l'1%... E nessuno gli ride in faccia, nessuno gli tira una torta in faccia a questo pagliaccio.

A Monti hanno dato qualcosa come 400 miliardi di euro e nonostante questo ci sta mandando a picco. Gli hanno dato 400 miliardi (che a Berlusconi non avrebbero dato, la condizione per darli appunto era che venisse Monti) se conti :

i) gli acquisti di BTP sul mercato direttamente da parte della BCE da ottobre e in più

ii) i due "LTRO" di dicembre e febbraio in cui la BCE ha dato circa 300-330 miliardi di euro alle banche italiane all'1%.

Quello che lui invece ha fatto è stato succhiare via circa 50-60 miliardi con nuove tasse, e alcuni tagli pensionistici, da un economia che è in crisi dal 2008, in aggiunta agli altri 40 miliardi che Tremonti (malvolentieri) aveva tagliato.

In più ha tolto altri 13 miliardi di repressione dell'evasione (cosiddetta, perchè quando paghi oltre il 50-60%, se vuoi essere in regola, la potresti anche definire "autodifesa").

Più l'"effetto paura" dei rastrellamenti della GdiF stile occupazione tedesca che sono difficili da quantificare, ma hanno ad esempio azzerato le vendite di veicoli oltre i 50mila euro in Italia (mossa astuta in un paese che è ancora il secondo produttore mondiale di veicoli di lusso con Maserati, Lamborghini e Ferrari...

Tanto una volta che abbiano fatto chiudere le aziende ci pensa Befera, la GdiF ed Equitalia a esportare).


Tagli alle pensioni più recessivi delle tasse
di Michele Carugi - Il Fatto Quotidiano - 2 Aprile 2012

Sulla prima pagina del Corriere della Sera di Sabato 31 Marzo, l’autorevole tandem giornalistico Alesina / Giavazzi ha messo l’accento sull’inadeguatezza delle misure economiche prese dal Governo Monti, additando la recessività del complesso, basato su imposte e tasse, con pochissimi tagli di spesa da parte dello Stato e fatti soprattutto sui trasferimenti agli enti locali i quali di riflesso hanno aumentato le loro imposte.

Hanno anche aggiunto che le richieste della Ue sono esse stesse recessive in quanto intimano il pareggio di bilancio senza spiegare che va raggiunto con tagli alle spese dello Stato.

Sulla recessività della manovra Monti, Giavazzi e Alesina non arrivano per primi, essendo essa ormai da tempo evidente anche ai ciechi; né arrivano primi sulla necessità, da tante parti caldeggiata, di recepire i diktat della Ue in modo un po’ più deciso e autonomo, respingendo al mittente ciò che va respinto.

Di questo passo può darsi che a breve il tandem, con una accelerazione della pedalata si renda conto anche che la manovra Fornero sulle pensioni è altamente recessiva, oltre a essere per certe parti quella che la brillante Gabanelli definirebbe una vigliaccata.

Mi riferisco alla disgustosa deindicizzazione della quale ho già scritto e al problema degli esodati che sta tracimando e rischia di rompere gli argini della quiete sociale; orbene, sembra che siano molti di più di quanti le risorse stanziate possano salvaguardare; e se solo sembra è perché il ministero diretto dalla Sig.ra Fornero non è ancora capace, di fornire dati che dovrebbero essere a portata di click, tramite gli enti da esso controllati.

Agli esodati sarebbe improvvidamente applicata dal Ministro una trattenuta pari al 100% della pensione per un numero di anni variabile e imprecisato.

In mancanza dei dati esatti che un Ministero ben condotto dovrebbe avere già provveduto, non è possibile quantizzare l’ammontare esatto della liquidità sottratta ai consumi, ma certamente è molto elevata.

Più semplice è il calcolo della liquidità sottratta dalla deindicizzazione, che la ragioneria dello stato calcolò in 2 miliardi e 800 milioni nel 2012 e quasi 5 miliardi per gli anni successivi, quando la deindicizzazione doveva iniziare dalla quota di pensione superiore a due volte il minimo; poi la deindicizzazione fu spostata alla quota di pensione superiore a tre volte il minimo e quindi il risparmio è diminuito, ma restando certamente molto significativo

Alcune riflessioni, dalle quali magari Giavazzi e Alesina potrebbero prendere spunto per approfondimenti dall’alto della loro scienza economica:

Il reddito complessivo dichiarato della nazione nel 2010 è stato di 792 miliardi di euro; a un aliquota media del 33 % ciò da un gettito di 261 miliardi di euro.

Secondo i dati presentati dal tandem, la pressione fiscale negli ultimi 8 mesi è aumentata di quasi 2 punti percentuali mentre i tagli dei trasferimenti gli enti locali, con conseguente innalzamento delle imposte locali, ha portato altri 2 punti circa tra imposte dirette e indirette; totale: 4 % pari a circa 8 miliardi di euro all’anno.

Alesina e Giavazzi indicano correttamente che ciò è gravemente recessivo ma, nuovamente si dimenticano dei miliardi prelevati tramite la deindicizzazione e, in prospettiva, agli esodati.

Qualche liberista più dentuto obietterà che, per la miseria, i miliardi di non pensione agli esodati e le deindicizzazioni rappresentano un risparmio per lo stato che altrimenti era sull’orlo del baratro etc. etc.; litanie già sentite fino alla noia.

E’ vero che sono un risparmio (non che sono quelli la ragione del passo indietro dal baratro), tuttavia in un conto economico risparmi e maggiori entrate vanno entrambi a segno positivo, a migliorare il saldo finale.

Pertanto se si suggerisce al Governo di rinunciare a un po’ di entrate fiscali sostituendole con risparmi seri sui propri costi, si potrebbe egualmente proporgli di risolvere in modo serio e responsabile il problema degli esodati ed innalzare significativamente la quota indicizzata, sostituendo il risparmio così fatto con un altro risparmio socialmente più sostenibile; ma di questa proposta non ho trovato traccia nell’articolo di Alesina e Giavazzi.

In attesa del contributo di Alesina e Giavazzi (se mai verrà) concludo che, a parità di gettito, un prelievo fatto su fasce di reddito basso (molti dei deindicizzati) e addirittura mettendo a reddito zero numerosissimi cittadini (gli esodati) è nettamente più recessivo dello stesso prelievo fatto su fasce di reddito più elevate, in quanto il primo toglie ad alcuni qualsiasi capacità di spesa mentre prelevando su redditi alti si va in gran parte a tagliare non i consumi ma il risparmio privato. Per non parlare di equità.

Ah dimenticavo; chiederei anche, per ora sommessamente le dimissioni del Ministro Fornero in quanto è inconcepibile che a quattro mesi della riforma non sia in grado di dare cifre esatte attraverso l’Inps; roba da quarto mondo, perché nel terzo fanno già meglio di così.


Così ci si avvita: verso il baratro
di Massimo Riva - l'Espresso - 28 Marzo 2012

Continuare a togliere i soldi dalle tasche dei cittadini vuol dire minori consumi, quindi minori investimenti, quindi minore occupazione. E così via, in una spirale perversa

Il governo Monti si accinge a riscrivere le regole del sistema tributario con lo strumento di una legge di delega da parte del Parlamento. Si annunciano così novità importanti come una diversa e specifica imposta sui redditi d'impresa, mentre per gli immobili si avrà un adeguamento dei valori catastali ai prezzi di mercato pur in un quadro di invarianza del prelievo già fortemente aumentato con l'introduzione dell'Imu.

Altre innovazioni riguarderanno il regime dei controlli e delle sanzioni per rendere più efficace la lotta contro evasione ed elusione fiscali. Durante il percorso parlamentare della delega si avrà modo di valutare meglio particolari e disegno complessivo del provvedimento.

Non si vorrebbe, però, che con questa iniziativa il governo intendesse dare per scontate e immodificabili le misure tributarie decise nei mesi scorsi sotto la pressione cogente degli attacchi speculativi sui titoli del Tesoro.

Anche se la minaccia di un collasso finanziario dello Stato risulta arginata ma non ancora del tutto scongiurata, sembra arrivato il momento opportuno per ragionare a mente fredda sui contraccolpi negativi insiti nella manovra d'emergenza.

In particolare, per quanto riguarda il serio pericolo che il prezzo del salvataggio della finanza pubblica possa essere la desertificazione dell'economia reale a causa di un'ulteriore caduta della domanda interna.

Non c'è bisogno di rifarsi ai recenti allarmi della Corte dei conti per sapere che, togliendo ancora più soldi dalle tasche dei contribuenti, si deprime la crescita precipitando in una spirale perversa. I minori consumi, infatti, scoraggiano gli investimenti e perciò frenano l'occupazione innescando un'ulteriore caduta della domanda con un avvitamento sempre più veloce verso il basso.

Una manutenzione un poco più attenta del peso e della distribuzione dei carichi fiscali introdotti di recente sarebbe un atto doveroso da parte di un governo che dice di voler porre l'elevata sapienza tecnica dei suoi ministri al servizio della collettività.

Un primo esempio: la giusta volontà di perseguire fiscalmente la rendita fondiaria è stata declinata in modo così distorto da tartassare i beni strumentali dell'attività agricola al punto da condurre sotto la soglia di sopravvivenza gran parte delle piccole e numerose grandi imprese del settore.

Ovvero un pezzo di economia nazionale che, già in seria difficoltà, offre comunque un rilevante contributo in termini sia di Pil sia di esportazioni. Forse i contadini meriterebbero un ascolto almeno pari a quello dato ai ben più rumorosi (e meno essenziali) tassisti.

Un secondo esempio: la mano pesante sulle accise dei carburanti ha sicuramente garantito risultati di pronta cassa per un Tesoro allo stremo, ma al costo non trascurabile di aver prodotto maggiore inflazione con conseguente e reiterata frenata dei consumi.

Cosicché l'ulteriore aumento dell'aliquota principale dell'Iva prospettato per l'autunno rischia di sommare a quelli provocati dalle misure d'emergenza nuovi e maggiori effetti depressivi.

Sarà anche una buona idea quella di spostare l'attenzione del fisco dalle persone alle cose, ma l'opera al momento risulta incompiuta: la pressione è salita sulle cose senza diminuire - anzi - sulle persone. A questo punto, salvata l'Italia, è bene che Mario Monti si occupi di salvare anche gli italiani.



Gli inganni del "risanamento" dello stato e del "pareggio di bilancio" spiegati a due pensionati
di Paolo Barnard - http://paolobarnard.info - 28 Marzo 2012

Cara Signora Ida, Caro Signor Ugo.

Lo dovete sapere, il governo Monti vi sta ingannando, e con lui i telegiornali e i giornali. Vi abbassano la pensione tassandovi, tutto costerà di più dalla benzina ai servizi, siete già più poveri oggi, e domani sarà peggio, per voi e per tutti. Ecco cosa succede.

Quante volte avete sentito le parole “risanare i conti dello Stato, per tornare a crescere”? Ok, tante volte, ogni giorno in Tv.

Bene. Signora Ida e Signor Ugo, in che modo il governo di Monti sta facendo il “risanamento”? Spendendo di meno per noi (i famosi tagli) e tassandoci di più. Ok. Ma cosa accade esattamente?

Accade che ciò che il governo non spende per noi (ad esempio servizi o stipendi e pensioni), saremo noi a doverlo spendere pescando nei nostri risparmi o facendo debiti, oppure facendo rinunce anche serie. Semplice, non si scappa.

Ma attenti alla trappola: pescare dai risparmi significa impoverirsi un po’, fare debiti significa impoverirsi molto – fare rinunce significa esattamente la stessa cosa, cioè essere più poveri di prima. Risultato: milioni di cittadini diventano un po’ più poveri o molto più poveri. Ok?

Ma il governo che ci “risana” ha deciso che oltre a spendere di meno, ci tassa di più. Noi, che già siamo diventati tutti un po’ più poveri come detto sopra, dovremo anche sborsare altri soldi in tasse, sempre dai risparmi o soldi che non abbiamo.

Cioè, sempre meno risparmi, e per molti ancor più debiti. Logicamente, sempre più poveri. Non si scappa.

Ma che fa la gente in massa se gli calano i risparmi o addirittura va a debito? Smette di spendere in tutto quello che non è proprio essenziale. Va meno al cinema, compra meno scarpe, non cambia l’auto, compra meno case, meno cosmetici, meno vestiti, rinuncia alla piscina dei figli, non compra più la carne come prima, beve meno vino, disdice l’abbonamento alle riviste, non ristruttura più la casa, va meno a mangiar fuori ecc.

Voi direte: una vita più come ai vecchi tempi. Forse, ma state attenti che per ciascuna di quelle rinunce significa che altrettanti negozi e aziende vendono molto di meno o lavorano molto di meno, finiscono a fallire, tantissimi oggi.

E cosa significa? Che tagliano gli stipendi, o licenziano, creano disoccupati, e magari non assumono vostra nipote, che si è laureata e non ha lavoro.

Questo è come un effetto domino, cioè cade una pedina e iniziano a cadere tutte le altre, in tutt’Italia, e quindi sempre più impoverimento, che crea incertezza, che crea sempre meno lavoro, che crea sempre più impoverimento.

Badate bene. Eravamo partiti dallo Stato che fa il “risanamento”, PER IL NOSTRO BENE. Dove siamo arrivati? Ecco dove:

Masse di impoveriti in generale che spendono di meno, questo mette in crisi i negozi e le aziende, questo cala gli stipendi e crea più disoccupati, tutti costoro di nuovo spendono molto di meno, e la ruota ricomincia da capo, meno denaro che gira, meno stipendi, licenziamenti… Ma non dovevamo essere “risanati”?

Ah!, ma alla televisione hanno detto che questi sono i “sacrifici” necessari perché poi DOPO tutti torneremo a star meglio, ci sarà la “crescita”!

No, dico, Signora Ida e Signor Ugo, vi pigliano per scemi? Come faremo a iniziare a star meglio stando peggio? Cos’è, un trucco del mago Merlino? I soldi sbucheranno dall’orto, misteriosamente… ? Non c’è altra possibilità. Forse Monti è un mago.

Eh sì, perché guardate bene le cose: Monti ha anche deciso che lo Stato smetterà per sempre di darci più soldi di quello che ci tassa, e questo si chiama il “pareggio di bilancio”. Significa: lo Stato, da qui in eterno, ci darà ogni anno 100 soldi e ci tasserà per 100 soldi. A noi rimane ZERO.

Addirittura Monti metterà questa regola nella Costituzione fra pochi giorni! Quindi ZERO soldi dallo Stato, e allora da dove verranno i soldi per la magica “crescita”? Da noi cittadini e dalle aziende? Ma come? Ci hanno impoveriti tutti per anni per fare il gran “risanamento”, come diavolo facciamo a inventarci i soldi che non abbiamo più?

Guardate la scena: in una stanza c’è il governo Monti, ci siamo noi cittadini e aziende, e c’è il resto del mondo, cioè le altre nazioni. Allora, per riassumere i concetti:

- Monti come prima cosa ci toglie soldi e ci tassa di più, noi siamo più poveri (il “risanamento”)

- poi Monti ci darà ZERO soldi (ne spende 100 e ci tassa 100, il “pareggio di bilancio”)

- a quel punto noi cittadini e aziende dobbiamo trovarli da soli i soldi, ma siccome Monti ci ha tutti impoveriti e non possiamo inventarceli i soldi, siamo con le braghe in mano (la “crescita”!!)

- Il resto del mondo ci guarda.

Fantastico, ci vuole un genio per pensare a una economia così.

Signora Ida e Signor Ugo, non si sta scherzando. Vi distruggono la vita in sto modo, e la distruggono ai vostri nipoti. E indovinate perché lo fanno? Sì, sì, fuoco, fuochino, esatto, perché così un nugolo di miliardari ne approfittano.

Lo sapete questi speculatori quanto ci hanno rubato in tre anni, da quando c’è la crisi? 457 miliardi di Euro, spariti dall’Italia esattamente nel modo che vi ho descritto. Lei Signora Ida quanto prende di pensione?

Signora, faccia una cosa: prepari una torta al mascarpone, attraversi quella stanza e vada davanti a Mario Monti. Gliela spiaccichi in faccia. Poi gli dia anche un bel calcio negli attributi maschili… lei può farlo, a 78 anni non l’arrestano.



L'italian job piace alla Cina: si può investire
di Michelangelo Cocco - www.ilmanifesto.it - 28.03.2012

Hu Jintao auspica più investimenti cinesi in Italia ed esprime «grande apprezzamento» per le misure economiche varate dal governo di Mario Monti.

Così il presidente della Repubblica popolare ha incoraggiato - secondo quanto riferito dalla delegazione italiana - il presidente del consiglio, a margine della Conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare che si è chiusa ieri a Seoul, in Corea del Sud.

Il capo del governo italiano - il cui gradimento popolare crolla in patria (dal 62% al 44% in pochi giorni secondo gli ultimi sondaggi) ma che ha ricevuto l'elogio del Wall Street Journal («Monti fa la Thatcher») - incassa, alla vigilia della visita ufficiale a Pechino (dove sabato incontrerà il premier Wen Jiabao) e si schermisce: a Seoul «ho colto i primi segni» di possibili maggiori investimenti, ma c'è bisogno «di tempo e di consolidare i risultati ottenuti finora».

Sia come sia, è evidente che i leader cinesi giudicano positivamente le riforme strutturali messe in moto dall'esecutivo «tecnico» sostenuto da Pd, Pdl e Terzo polo. Del resto, ogni volta che nelle scorse settimane la stabilità della moneta comune veniva messa a dura prova, Pechino ha sempre ripetuto la sua ricetta per uscire dalla cosiddetta «crisi dei debiti sovrani»: tagli alla spesa pubblica e mercato del lavoro più flessibile.

Misure in linea con i diktat della cancelliera tedesca Angela Merkel agli Stati della periferia dell'euro e con la propaganda dei media della Repubblica Popolare, che dipingono «un'Europa che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità» per la quale è arrivato il momento di stringere la cinghia.

Provvedimenti che la Cina ha invocato come conditio sine qua non per rimpinguare il fondo «salva Stati» (meglio se attraverso il Fondo monetario internazionale, ritenuto nella gestione delle crisi più affidabile degli organismi Ue) con una parte delle sue riserve di valuta estera, pari a circa 3200 miliardi di dollari.

E comunque le autorità cinesi, a partire dal China investment corporation (di cui Monti incontrerà il presidente, Lou Jiwei), il fondo sovrano che amministra una parte di quel tesoro, hanno indicato la loro preferenza per le acquisizioni di aziende e il finanziamento di progetti infrastrutturali piuttosto che per un meccanismo di «salvataggio» che - nonostante i compromessi politici degli ultimi giorni - stenta a decollare e a convincere gli investitori.

I capitali cinesi si stanno indirizzando soprattutto in quei paesi europei in cui salari bassi e flessibilità rappresentano realtà consolidate. Un mese fa la Greatwall ha iniziato l'assemblaggio di automobili (con pezzi che arrivano dal porto cinese di Tianjin) nel villaggio di Bahovitsa, nel nord della Bulgaria: investimento massimo previsto 300 milioni di euro, 120 operai per produrre 50.000 auto all'anno e tre modelli - tra cui un Suv a basso costo - da destinare prevalentemente ai mercati dell'Europa dell'Est.

Nel giugno scorso il premier Wen ha annunciato investimenti per 400 milioni di euro in Ungheria: strade, un aeroporto per facilitare l'accesso delle merci cinesi e una grossa fabbrica di batterie per auto elettriche. Ed è in corso l'assalto - in Germania e Polonia - al settore strategico delle macchine utensili.

L'interscambio commerciale tra la Cina e i paesi dell'Europa centrale e orientale dal 2001 è cresciuto a una media del 32% annuo, decuplicandosi.

Se il governo «tecnico» riuscirà a estendere i contratti di apprendistato (flessibilità in entrata) e a cancellare l'articolo 18 (in uscita) vincendo le resistenze dei sindacati («Monti fa la Thatcher») c'è da scommettere che i capitali cinesi accorreranno molto volentieri anche in Italia.


Precariato, voci dall’inferno
di Alessio Mannino - http://alessiomannino.blogspot.com - 28 Marzo 2012

Il governo del liberista Monti vara la riforma Fornero, che ridotta all’osso vuol dire licenziamenti più facili e una regolamentazione del precariato, che però continuerà a esistere seppur in una forma meno caotica. Questa è anche la sensazione dei precari, gli schiavi moderni dell’economia globale.

Alessandra, 32 anni, diploma classico e laurea in sociologia a Padova,
durante il periodo universitario era una studente-lavoratrice («al mattino a lezione o sui libri, di pomeriggio baby-sitter, di sera dietro al bancone di un pub») aveva tentato la via del master. «In scienza e tecnologia: ne sono uscita con un voto alto e uno stage in un istituto di ricerca», che al termine le offre un primo contratto di collaborazione, rinnovato di anno in anno ogni 4-5 mesi fino a oggi. E sono passati sei anni.

«La stabilità
è un miraggio, resto sempre una consulente. Porto a casa 1200 euro al mese. Per poter far quadrare i conti, col mio ragazzo che ne prende 500 in un call center e un figlio di due anni, sono tornata a fare qualche sera al pub». Le viene quasi da piangere: «C’è chi mi dice che abbiamo fatto una pazzia a fare un figlio. Una pazzia un figlio, capisci? Ma devo rinunciare all’amore e alla famiglia?».

Monti e Fornero? «Ci prendono in giro. Da quel ho capito, io non potrei più essere riassunta ogni tot mesi ma a un certo punto dovrebbero darmi il tempo indeterminato. Bene: ma chi impedisce al mio datore di lavoro di ricominciare daccapo con un’altra persona, eliminando me?».

Sergio, 30 anni, si definisce «vittima dell’inferno interinale». Non è laureato, ci ha provato ma ha dovuto abbandonare per motivi economici e familiari («dovevo sostenere i miei, dopo che mio padre è andato in cassa integrazione»).

La sua odissea è cominciata dieci anni fa in un supermercato come magazziniere, appena 6 mesi. Allora si è iscritto a tutte le agenzie interinali di Vicenza: «e tutte mi dicevano che lavoro non ce n’è perchè avevo un inutile diploma scientifico e non avevo esperienza. Ho frequentato dei corsi organizzati dalle agenzie, anche a pagamento: contabilità, vetrinista, di tutto…».

Risultato: nulla. «Tornai al supermercato, poi riuscii a fare il commesso in
un negozio di abbigliamento visto che con la parlantina ci so fare». Ma dopo un anno basta anche qui, e torna a fare il giro delle sette chiese interinali. «E sai cosa mi dissero? Che avevo troppa esperienza qua e là, frammentata…».

Sergio
è nero: «Quando vedo i nostri politici, compreso il presidente di questa repubblica delle banane, che vogliono solo dare un ritocchino alla loro tanto amata flessibilità mi vien voglia di… non lo dico nemmeno». No, dillo, per favore. «Altro che forcone… Ci siamo capiti, no?». Anche troppo.

Andrea aveva un sogno: lavorare in un’azienda informatica. E’ il classico cervellone tutto computer e tecnologia, ma non un nerd («mi piace la campagna e l’aria aperta, e se avessi più tempo, maledizione, farei anche più sport, la pallavolo»).

Ha 27 anni ed ha
una laurea in informatica. Dopo l’alloro e un 108, riesce a entrare come stagista in una ditta del ramo. «Ero pieno di entusiasmo, stavo facendo la gavetta con l’animo alle stelle, mi facevo il mazzo ma ero felice».

Dopo 9 mesi ecco il cocopro, scadenza 6 mesi, ma deve trasferirsi a Milano. Lo stipendio
è buono, 1800 euro al mese, ma deve pagarsi tutte le spese da solo. Lui ci prova ugualmente, un po’ di aiuto glielo danno i genitori.

Lavora come un mulo, ma spera. Alla fine, non viene riassunto. «Mi hanno detto, brutalmente, che hanno la fila fuori dalla porta e se vogliono trovano pure chi lavora gratis. Mi avevano dato una chance perch
è sono bravo, ma sanno che non posso resistere a lungo con l’affitto da pagare e loro un aumento non me lo danno neanche per sogno».

Così ha dovuto fare le valige ed
è tornato nel suo paesino del Vicentino. Invia il suo curriculum ovunque e non demorde, ma gli è rimasta dentro una grande frustrazione. «Io dico solo
questo: fa bene la Cgil a combattere sull’articolo 18, perchè non è possibile concedere sempre tutto, non è giusto essere trattati come sacchi di patate, da buttare via quando non serviamo più».

Mario di anni ne ha 32 e, dopo una trafila di lavoretti precari, da 4 fa il mediatore finanziario.
Lui è un privilegiato: è riuscito a conquistare il tempo indeterminato. «Ho un fisso e le provvigioni, campo bene ma vivo ancora coi miei perchè, essendo single, da solo non riuscirei a risparmiare nulla». Sul nuovo mercato del lavoro è molto critico: «Il succo del discorso è che ora sarà più facile mettere sulla strada anche me».

Si parla di un’assicurazione sociale (il fondo Aspi), per chi resta disoccupato. «Anzitutto la riforma parte dal 2017, vero? Chissà i governi futuri cosa combineranno nel frattempo. E voglio proprio vedere se i soldi per il sussidio di disoccupazione ci saranno davvero».

Quindi il
posto di lavoro dev’essere inamovibile? «Non dico
questo, ma non credo neanche un po’ alla volontà di tutelare il lavoratore, come dice la “Frignero”. L’unica soluzione sarebbe il reddito di cittadinanza, ma non ci saranno mai i soldi perchè questo vorrebbe dire ridiscutere tutto il sistema economico e sociale».

Pensieri alternativi… «No, io che vivo costantemente sotto stress, che non ho il tempo neanche per pisciare, che vedo i miei colleghi più anziani imbottirsi di psicofarmaci e qualc
uno beccarsi, a 40 anni, l’infarto, che con la crisi ho visto diminuire la mia clientela, che ho visto un imprenditore che conoscevo suicidarsi, penso solo che la gente che ci governa vuole solo che diventiamo automi. Sono dei bastardi».


Il lavoro brucia e Monti che fa?
di Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano - 1 Aprile 2012

Nessuno paga nessuno. È un ordine, un disordine o un errore clamoroso? I fornitori non vengono pagati dallo Stato, le aziende non pagano le aziende, tutte le ragioni, legittime o illegittime, necessarie o illegali, sono buone per non pagare i lavoratori.

Molte persone, garantite fino a un momento fa da un buon sistema pubblico di previdenza, che non risulta abolito, restano senza lavoro e senza pensione, in un limbo che dà le vertigini. E porta brutti consigli, come in un incubo.

Compare un fenomeno già conosciuto nel mondo industriale avanzato, ma ignoto finora in Italia, il suicidio da lavoro. È un buco nero nel quale scivolano soprattutto coloro che avevano trasformato un piccolo lavoro in una piccola impresa, e per un po’ avevano creduto di avercela fatta.

Al bordo del coma o della bara si vedono famiglie vere, mogli-compagne, figli travolti, come se tutti fossero saltati su una mina.

Non avevamo calcolato, nel dare il benvenuto a un dignitoso “dopo Berlusconi”, che interi campi minati erano stati lasciati da due decenni di diretta o indiretta egemonia di tre governi berlusconiani corrotti e inetti e per giunta molto attivi come guastatori della Repubblica.

E non avevamo previsto, perché anche il legittimo senso di festa fa i suoi danni, il tracciato inedito e sorprendente della nuova ferrovia Monti-Fornero.

Corre parallela al Paese, ma non dentro il Paese. La sua locomotiva lancia fischi lontani che non segnalano nulla a noi. Sono fischi del treno per chi sta sul treno. I cittadini sanno (pensano) che il treno venga da altrove e vada altrove. A noi lascia solo il rumore del pesante passaggio.

Dopo un po’, però, notano delle coincidenze inquietanti. A ogni fischio (o annuncio) segue la perdita di qualcosa, un po’ di pensione o tutta la pensione, un po’ di lavoro o tutto il lavoro, un po ‘ di sicurezza, o tutta la sicurezza.

Sacrifici strani (perché totalmente imprevisti) in cambio di niente, o questa è la percezione. La percezione conta. È così forte che alcuni decidono addirittura di farla finita. Ma bisogna stare attenti al grado di disperazione che si cova.

I “tecnici” sembrano non avere calcolato che, fra malintesi e vuoto di contatti, cittadini e partiti politici restano legati tra loro dal continuare a risiedere sullo stesso luogo, dunque sono vicini, persino quando i rapporti si fanno conflittuali. In altre parole, sai sempre dove andare per farti sentire, o per rovesciare il tavolo.

Invece i “tecnici” non li trova nessuno, perché non sono di questa terra (nel senso di terra della politica e della protesta). Magari è vero che, nel loro breve passaggio riusciranno a riparare qualcuno dei danni spaventosi provocati alla Repubblica dai suoi precedenti governanti e relativa, incosciente maggioranza.

Ma persino in questo caso fortunato, nel quale intensamente continuiamo a sperare, è impossibile non vedere alcuni fatti che sono, o sembrano a molti di noi, e a molti cittadini, errori strani, come quando Monti dice: “Noi godiamo di consenso, i partiti no”.

La frase è come una formula magica, e lo ha già sperimentato il predecessore, che spiace persino ricordare. Nell’istante in cui dici che sei il preferito, rompi l’incanto (se c’è), e smetti di esserlo.

Ma pesa anche l’infelice idea di impegnare tutto il peso di un governo così nuovo, sulla cosiddetta “riforma del lavoro”, dunque gettandosi tutti insieme, con forza (governo, padronato, vecchia maggioranza letale, destra economica, commentatori opportunisti) sul lato debole (il lavoro) della precaria vita industriale italiana.

Si è preferito – senza spiegare – il vecchio percorso di punire il lavoro, restringendo il più possibile (come se fossero la causa della gravissima crisi finanziaria che il mondo industriale sta attraversando), alcune garanzie importanti per i lavoratori, conquistate faticosamente attraverso i decenni.

Si è giunti a un punto di superstiziosa repulsione verso l’articolo 18 facendone una sorta di Eluana Englaro della “riforma del lavoro”. Tutto ciò nel Paese che avrebbe urgente necessità di una riforma dell’impresa, dal diritto al credito al dovere di trasparenza di ogni decisione (esempio: delocalizzazione e improvvise chiusure di fabbriche) che tocca la comunità in cui vive, e di cui vive, l’impresa.

Il percorso si complica con un’altra frase inadatta a stabilire un contatto con i cittadini: “Se il Paese non è pronto…” segue la minaccia che è ingiusta. Colpisce la fatica, il malessere ma anche l’incomprensione.

Poiché l’incomprensione è reciproca, tocca alla parte forte dire, con cautela e pazienza, prima che le ondate di suicidio si espandano: “Forse non mi sono spiegato”. Posso proporlo ai professori? Posso chiedere loro di spiegare bene, anche a se stessi, ciò che stanno facendo e che intendono fare?


Ci stanno ammazzando?
di Marco Cedolin e Fabio Polese - Agenzia Stampa Italia - 2 Aprile 2012

Ieri un uomo si è dato fuoco nel parcheggio della Commissione tributaria, in via Paolo Nanni Costa, nella periferia ovest di Bologna. Era in debito con il fisco e voleva farla finita. A Giuseppe C., muratore di cinquantotto anni, erano stati contestati tributi non pagati e i suoi ricorsi alla commissione erano stati respinti, l’ultimo proprio di recente. L’uomo ha tentato di uccidersi incendiando la sua auto verso le otto di mattina.

C’è restato finché ha resistito e poi è corso fuori; sembrava una torcia umana. Diversi sono stati i biglietti scritti a mano (trovati dai vigili del fuoco all’interno della sua macchina) per spiegare il suo gesto.

“Ho sempre pagato le tasse, poco ma sempre. Quello che ho fatto l’ho fatto in buona fede. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna. Vi chiedo perdono anche a voi” ha scritto riferendosi alla Commissione tributaria. A Roma, un altro caso: un uomo di quarantanove anni si è gettato dal balcone della sua abitazione perché disoccupato.

Questi tragici episodi sono in aumento e sono un sintomo evidente di come la crisi economica colpisce pesantemente la maggior parte delle famiglie e soprattutto le classi sociali più povere.

Secondo le stime riportate dal Servizio Prevenzione del Suicidio dell’ospedale romano Sant’Andrea, il “fattore economico” ha pesato (sugli oltre 4000 suicidi complessivi in un anno) per oltre un terzo.

Lo psichiatra Maurizio Pompili, che ha riportato queste stime, ha dichiarato: “Purtroppo questi dati non ci sorprendono, nella storia è un fenomeno già visto. Ci fu un boom di suicidi nel 1870, dopo una grande crisi e l’aumento del prezzo del pane”.

Intanto mentre qui si muore perché si è stremati dai debiti, Mr. Monti riscuote successi all’estero con i media di massa italiani ed internazionali che continuano l’elogio del “quanto è bravo il premier” fino allo sfinimento.

“I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfide”, queste parole di Mr. Goldman Sachs & co., ancora rimbombano pesantemente sui giovani (e meno giovani) che ogni giorno devono combattere per mantenere un lavoro sempre più incerto e precario.

Viviamo in un Paese sopraffatto dall’incertezza del futuro e chi prova a rialzarsi, viene represso a suon di bastonate democratiche. Proprio come è successo pochi giorni fa agli operai dell’Alcoa, manganellati mentre gridavano una sacrosanta verità: “un operaio, una famiglia”.

Già, una famiglia, quell’angolo di mondo tranquillo (o turbolento) all’interno del quale ciascuno sa di “contare qualcosa” anche quando all’esterno è solamente una risorsa umana da spremere come un limone fintanto che ha qualcosa da dare, per poi diventare una buccia, un peso, un rifiuto organico da “smaltire” e nulla più.

Quella “casa” sicura (o meno) dove l’uomo economico, atomizzato nel suo ruolo di competitor solitario, corridore del progresso, condannato ad arrivare “primo” in una corsa truccata dove tutti sono ultimi, può tornare la sera. Accovacciarsi in posizione fetale e tentare di suggere qualche goccia di umanità e carpire uno scampolo di sentimento, di emozione, di vita.

I figli, il coniuge, i genitori, quelle poche briciole di mondo che ancora hanno un nome ed un valore che prescinda dalla loro produttività. I “tuoi cari”, la tua isola felice (o infelice) che sta sgretolandosi ogni giorno di più, fagocitata dal progresso che per te ha in serbo altri programmi, volti a renderti assai più efficiente e produttivo.

L’ondata di suicidi del 1870 cui fa riferimento lo psichiatra Pompili, per giustificare il suo mancato stupore nei confronti di quelli di oggi, in realtà fu il risultato di quello stravolgimento economico e sociale meglio conosciuto come rivoluzione industriale e non solamente di un aumento incontrollato del prezzo del pane.

La famiglia allargata che viveva in larga parte di autoproduzione e manteneva forti rapporti umani, all’interno di una comunità fortemente coesa, iniziò a morire, ammazzata dal lavoro salariato in fabbrica, dalle città maleodoranti, dall’incapacità dei suoi membri, diventati individui, di sopravvivere economicamente con lo “stipendio”, laddove fino a qualche anno prima vivevano con un certo agio all’interno di un sistema dove la presenza del denaro non era immanente e si rendeva necessaria solo in quegli ambiti dove l’autoproduzione, lo scambio ed il dono (e quanto altro garantito dallo spirito di comunità) non si manifestavano sufficienti.

La famiglia, nella sua forma primigenia stava morendo e con lei si suicidarono molti dei suoi membri, riluttanti a diventare criceti, nella gabbia di un mondo che più non gli apparteneva.

Come la mancanza di pane non fu l’unico elemento scatenante dell’ondata di suicidi della seconda metà dell’800, così la disoccupazione, l’usura di stato e il cinismo sprezzante di un governo di banchieri subumani non è l’unica causa dell’ondata odierna.

Anche oggi, come allora, quel che resta della famiglia sta morendo, ammazzata dai sacerdoti della crescita e del progresso che vedono in essa un ostacolo all’atomizzazione dell’individuo merce, deputato a sostituire l’essere umano.

La mancanza di lavoro, comunque temporaneo e mal retribuito, è il cavallo di Troia attraverso il quale praticare l’eutanasia di qualunque legame famigliare ed amicale possieda l’individuo, fino a renderlo solo, acquiescente, malleabile e funzionale agli interessi della macchina economica.

Per inseguire il miraggio di un lavoro che non c’è, i coniugi si adeguano a turni massacranti che pur condividendo la stessa casa li costringono di fatto a non incontrarsi più fra loro e con i figli per intere settimane.

Per inseguire la speranza di lavoro, sempre più persone cadono vittima di un pendolarismo massacrante che li rende veri e propri zombie in ambito famigliare. Mentre altri si trasferiscono a centinaia di km di distanza dalla propria famiglia, per mantenere un posto di lavoro che sta sfuggendo e comunque a breve sfuggirà.

E quel che resta delle famiglie, diventa ogni giorno di più un luogo alieno, mero ricettacolo di frustrazioni personali, dove alcuni individui condividono spazi comuni, continuando a vivere la propria individualità, fatta di paura, sensazione di inadeguatezza e mancanza di qualsiasi prospettiva per il futuro.

Su questo retroterra di pesante demolizione di ogni rapporto sociale che prescinda dall’economia, sta crescendo l’ondata di suicidi che abbiamo iniziato a sperimentare e con tutta probabilità si acuirà nel prossimo futuro, di pari passo con il sempre più accentuato ridimensionamento delle prospettive occupazionali e la progressiva eutanasia della famiglia, dello stato nazione e della comunità.

Solamente un secolo fa la scala valoriale usata per misurare le persone era ancora incentrata sulle sue qualità morali. Il coraggioso e il vigliacco, il ladro e l’onesto, l’uomo d’onore e la spia, l’uomo “di cuore” ed il cinico e così via.

Oggi l’unica scala valoriale universalmente accettata è quella economica. Il vincente ed il perdente, l’uomo (o la donna) di successo e quello che non ne ha mai avuto, l’uomo che può mantenere agiatamente la propria famiglia e quello che la campa a fatica, la persona che lavora e quella che è disoccupata.

L’uomo che possiede beni economici che gli garantiscono di acquistare affetti e sentimenti e quello cui questi beni economici vengono meno e teme di perdere (se non li ha già persi) i sentimenti e gli affetti che possedeva e troppo spesso ritiene che una corda o una latta di benzina rappresentino l’unica soluzione. In fondo potrebbero anche esserlo, se destinati agli umanoidi che hanno creato questa situazione.